IL PIANTO, LA PULIZIA DELL’ANIMA

di Anna Merolle

Qual è il nostro rapporto con il pianto? Tendiamo facilmente a scivolare nelle lacrime oppure queste sono da noi trattenute? Cosa accade se a piangere sono gli altri?

Le lacrime sono l’espressione che rende visibile il nostro sentire, rafforzandolo. Diviene il riflesso per l’altro dell’intensità del nostro esperire. Di fronte a un pianto intenso e immediato, possiamo solo stare in silenzio e attendere che finisca.

Succede che il paziente porti in seduta il desiderio di piangere, abbandonandosi alle lacrime. Quando ciò accade nasce un momento sacro tra paziente e analista.

 

Voglio il tuo pianto

È stato il giorno più bello quello
in cui ti ho visto piangere, il tuo
viso accanto al mio, nel deserto
dei tuoi occhi scaturire un rugiadoso
pianto, lacrime speciali, perché sono
per chi ami, non come i sorrisi che
puoi donare a tutti.
Quelle lacrime sono per me, mi hanno
detto quanto bene mi vuoi, sono il
balsamo per le mie ferite, una scoperta
nuova.
Le raccoglierò con le mie labbra, le addolcirò
con i miei baci e non andranno perdute, lacrime
come fiori sbocceranno in sorrisi.

(Mirella Narducci)

 

Claudia, una protagonista delle storie dei pazienti del Il filo di Anna, ha impiegato molto tempo ad essere perfetta agli occhi degli altri. Oggi i suoi occhi hanno ricevuto, proprio da lei, il permesso di piangere. Ora Claudia può guardare a ciò che la circonda senza più filtri.
La nostra sensibilità può portarci a una maggiore reattività espressiva verso gli accaduti esterni e al contempo crearne una distanza. Nel primo caso siamo di fronte a una impulsività immediata e senza contenimento. Trattenere il pianto diviene la via migliore per costruire un contenitore interno in grado di saper sostenere l’Io nei moti emotivi interiori.

Nel secondo caso è una sorta d’impermeabilizzazione emotiva verso un apparente cinismo, come è accaduto a Claudia.

Altre volte ancora si trattiene il pianto per la paura di scoperchiare il vaso di Pandora e di non smettere più.

 

Noi possiamo imparare a non piangere e a bloccare le lacrime. Quando viviamo delle esperienze dolorose e subiamo delle ferite il nostro sistema di sopravvivenza ci impedisce di piangere per evitare di crollare. È la volontà di non crollare che irrigidisce tutto il corpo e blocca il respiro all’altezza del petto così da impedire il  fluire delle lacrime.

Accade di sostituire il riso con il pianto e questo è assai doloroso per la persona. Il sorriso smile può rappresentare la corazza che ci protegge dalle emozioni dolorose e con il tempo divenire una maschera rigida. La sensazione che si prova è di essere un elastico costantemente teso.

 

Il pianto è costellato di stereotipi culturali. Uno di questi recita che piangere è segno di debolezza.

Figurarsi se si è di sesso maschile.

Da bambini riceviamo messaggi inibitori e frustranti a partire da espressioni quali piangere è sbagliato, fino a farlo divenire una questione di genere.

 

Sostenere le lacrime dell’altro non è facile. Ci fa sentire impotenti e di non avere più il controllo della situazione. Inoltre ci rende vulnerabili alla sofferenza dell’altro. Ancor più è disagevole perché ci obbliga a una messa in discussione con relativi sensi di colpa.  Tutti con l’effetto di bloccare o di sminuire l’altro, nel mentre del suo pianto.

Il burlone che ci impedisce di prendere la giusta misura al pianto dell’altro sono i neuroni specchio. Si tratta di una classe di neuroni presenti in diverse zone del cervello deputate al movimento, alla percezione, al linguaggio e all’intenzione e sentimento. Questa scoperta delle neuroscienze ha illuminato tutte le discipline umane sui buchi neri riguardo il perché riusciamo a capire quello che gli altri fanno, pensano  e provano.

[…]Quando vediamo qualcun altro che soffre o sente dolore,

 i neuroni specchio ci aiutano a leggere la sua espressione facciale e a farci provare la sofferenza o il dolore di quell’altra persona[…]

(M. Iacoboni, da I neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri. Ed. Bollati Boringhieri)

Con i neuroni specchio possiamo esperire le stesse emozioni di chi ci sta accanto in modo simulato attraverso il sentire emotivo e viscerale. Questo meccanismo ci consente di non essere dei robot in grado solo di avere una comprensione dell’altro cognitiva e fredda.  Noi possiamo allenare la risposta dei neuroni specchio inibendola o attivandola a seconda della funzionalità della situazione che si vive.

Riuscire ad avere un giusto distacco emotivo e self-control aiuta a non spaventarci della reazione di dolore della persona vicina. I neuroni specchio non decidono il comportamento che dipende dalle nostre scelte e dal nostro vissuto.

 

Il pianto ci permette di guardare alle ferite di oggi e di ieri.

La parte ferita finisce nell’Ombra, un lato oscuro, denso di contenuti inespressi, emozioni, paure, pulsioni e desideri sgradevoli. Confrontarsi con essa significa portare alla luce gli stati emotivi di situazioni del passato ancora non chiuse. Riviverle, come se accadessero ora nel presente, ci permette di mollare la tensione e abbandonarsi al pianto.

Se io mi impedisco di piangere, non posso sostenere il pianto dell’altro.

Tutto quello che ci fa paura lo rifuggiamo da noi stessi. Paradossalmente anche chi si compenetra profondamente nel pianto sta scappando da se stesso proiettando la sua sofferenza. Dal momento che ci abbandoniamo consapevolmente al pianto cominciamo a sentirci liberi. Le lacrime sono espressione di forza e aprono i passaggi necessari per il fluire dell’energia vitale / mente-corpo. Possiamo osservare, dopo un pianto profondo e liberatorio, un cambiamento sia nella voce, più profonda e alta, che nello sguardo, pelle e occhi luminosi.

 

Per Claudia piangere è stato un segno di abbandono, una possibilità a concedersi alle sue emozioni.

Nella sua infanzia Claudia è stata succube di violenti litigi genitoriali.

Da bambina aveva imparato a depositare le sue lacrime su un oggetto simbolo, il palo delle scale. Era lì che si sedeva rannicchiata ad ascoltare le liti dei genitori, piangendo. Col tempo Claudia aveva collocato fuori di sé la funzione espressiva del pianto e il palo era diventato il simbolo delle sue lacrime.

 

Tutti noi da bambini scegliamo un luogo dove andare a piangere. Una volta arrivati lì è come se il pianto si spegnesse. Quel luogo è impregnato di tutte le nostre lacrime e piange per noi.

Per Claudia quel posto simbolico è divenuto una scorciatoia per non piangere più e poter indossare l’impermeabile della perfezione agli occhi di tutti.

Il disgelo emotivo di Claudia è maturato esattamente quando lei si è assunta, con coraggio, il peso della responsabilità di poter deludere i suoi genitori. Il processo si è mosso dall’autenticità emotiva alla scoperta e affermazione della sua identità.

 

Li ho tenuti al buio per anni, oscurati da lacrime trattenute. Oggi, finalmente vedono senza filtri perché piango quando sento di doverlo fare

(Claudia, dal Il filo di Anna. Intermedia Edizioni)

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